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Le parafarmacie tra la libertà di concorrenza e la tutela della salute

Francesco Cavallaro
Francesco Cavallaro
Le parafarmacie tra la libertà di concorrenza e la tutela della salute


Nel giudizio pendente alla Corte di Giustizia dell’Unione europea sulla compatibilità della normativa italiana che limita la vendita di medicinali presso le parafarmacie con la libertà di stabilimento prevista dal Trattato l’Avvocato Generale ritiene che tali limitazioni siano compatibili con l’art. 49 del Trattato per evitare il rischio che l’indebolimento della rete delle farmacie possa incidere sulla tutela della salute pubblica; la Corte di Cassazione è di diverso avviso; la Corte Costituzionale dovrebbe pronunciarsi tra non molto.

Come i lettori sanno le disposizioni che limitano la distribuzione dei medicinali presso le parafarmacie, escludendo tutti quelli soggetti a prescrizione medica, tanto  a pagamento quanto a carico del SSN, sono  state portate all’esame dei due massimi organi di  giustizia, europeo ed italiano;

  • il TAR per la Lombardia, con ordinanza del 22.3.2012  nel ricorso n. 3077/2011, ha rimesso alla Corte di Giustizia dell’Unione europea la questione “pregiudiziale” se il divieto  di vendere i medicinali a totale carico del cittadino, anche se con obbligo di ricetta medica, sia compatibile  in particolare con l’art. 49 del Trattato che garantisce la libertà di stabilimento in quanto idoneo “a rendere di fatto pressoché impossibile lo stabilimento di un farmacista in Italia che voglia accedere al mercato dei farmaci di fascia C soggetti a prescrizione medica, oltre che a rendere concretamente più difficile lo svolgimento di tale attività economica entro il mercato nazionale”; si tratterebbe  infatti a suo avviso di una “sproporzionata  protezione di reddito degli esercizi esistenti” tale da impedire “l’erosione  delle posizioni di rendita   create da una  regolamentazione restrittiva.
  • Il TAR per la Calabria, Sezione di Reggio, con ordinanza del 9.5.2012 nel ricorso 333/2012, ha a sua volta trasmesso alla Corte Costituzionale l’art. 5, comma 1, della legge n. 248/2006 (c.d. decreto Bersani), nella parte in cui limita la vendita dei medicinali presso le parafarmacie ai soli farmaci dispensabili senza ricetta, in quanto ha dubitato della costituzionalità di tale norma in relazione agli articoli 3 e 41 della Costituzione, che tutelano rispettivamente il principio di uguaglianza e la libertà di iniziativa economica; la causa pende presso la Corte Costituzionale al n. 180/2012 ed è da ritenere che verrà fissata entro alcuni mesi.

Va da sé che i principi generali ai quali viene fatto riferimento, sia in ambito europeo che in ambito nazionale, sono a loro volta relativi, nel senso che possono essere derogati laddove  lo impongano  ragioni superiori quali, come nel nostro caso, la tutela della salute dei cittadini;  viene infatti da molti ritenuto che la salvaguardia della rete delle farmacie, che garantisce una adeguata possibilità di accesso ai farmaci nel tempo e nello spazio, possa giustificare limitazioni anche importanti nell’applicazione dei principi in questione.

Questa è anche, in sintesi, la tesi dell’Avvocato Generale Whal nella causa pendente  innanzi alla Corte di Giustizia dell’Unione europea.

Nelle sue conclusioni egli affronta anzitutto la questione della ricevibilità della domanda di pronuncia pregiudiziale (così vengono definite le richieste da parte dei Giudici nazionali di interpretazione della normativa europea) avanzata dal TAR Lombardia; trattandosi di un aggrovigliato nodo di carattere processuale  sembra opportuno farne grazia ai lettori; basterà dire che secondo l’Avvocato Generale si tratta di un aspetto superabile.

Affrontando il merito egli osserva che le limitazioni che la legge italiana pone alla vendita dei medicinali presso le parafarmacie costituiscono una restrizione alla libertà di stabilimento, ma che tale restrizione appare giustificata da motivi imperativi di interesse generale (si tenga presente che il Governo italiano non ha partecipato all’udienza e che le sue osservazioni scritte “sono, purtroppo, particolarmente laconiche”).

L’Avvocato generale si pone anzitutto il compito di verificare  quale sia il mercato interessato ed osserva che le parti ricorrenti innanzi al TAR non hanno messo in discussione  la compatibilità con il Trattato della normativa  nazionale che limita il numero delle farmacie attraverso la pianta organica  o che riserva alle farmacie la vendita dei medicinali a carico del SSN, bensì unicamente le disposizioni che vietano la vendita presso le parafarmacie dei medicinali, anche appartenenti alla classe A, ma acquistati dai clienti  a loro spese; di conseguenza gli effetti restrittivi potenzialmente posti dalla normativa italiana che rilevano non solo quelli relativi alla apertura delle farmacie in Italia quanto piuttosto quelli relativi alla apertura delle parafarmacie.

Se si fosse trattato dei supermercati o delle stazioni di servizio, gli effetti restrittivi presumibilmente derivanti dalla normativa italiana potrebbero essere considerati aleatori, ipotetici e comunque poco significativi; sennonché le parafarmacie presentano una serie di caratteristiche in comune con le farmacie (controlli dell’Autorità, adeguatezza di locali e attrezzature, acquisti tramite i medesimi canali, tracciabilità dei farmaci e soprattutto vendite in presenza di un farmacista) sicché la loro attività principale è quella della vendita di prodotti riguardanti il benessere e le cure mediche; di conseguenza è ragionevole ritenere che la normativa in discussione possa ostacolare lo stabilimento in Italia di operatori interessati alla vendita di medicine e dunque costituiscano una restrizione alla libertà di stabilimento di cui all’art. 49 del Trattato.

Fino a questo punto le conclusioni dell’Avvocato Generale sono sicuramente condivisibili, ma il punto chiave è un altro, e consiste nel verificare se, come viene sostenuto, tali limitazioni siano giustificate da motivi imperativi di interesse generale.

Secondo le osservazioni del Governo italiano l’obbiettivo da tutelare attraverso la limitazione dei farmaci vendibili presso le farmacie sarebbe la tutela della salute pubblica, evitando un consumo eccessivo di medicinali e di salvaguardare l’erario evitando lo spreco delle limitate risorse finanziarie che possono essere messe a disposizione dei servizi sanitari.

L’Avvocato Generale dubita che tali giustificazioni siano condivisibili poiché la normativa controversa riguarda medicinali dispensabili solo su ricetta e non a carico del SSN; tuttavia rileva, alla luce della ordinanza di remissione del TAR e della giurisprudenza della Corte Costituzionale italiana, che la normativa italiana è intesa ad evitare che le farmacie si concentrino nelle zone considerate commercialmente più attraenti, mirando piuttosto ad “assicurare una adeguata distribuzione delle farmacie in termini di territorio ed orario, assicurando ai farmacisti un bacino di utenza tale da evitare la scomparsa degli esercizi minori, fatto che, a sua volta, avrebbe ripercussioni negative sulla esigenza di garantire un’equa distribuzione delle farmacie su tutto il territorio nazionale”.

D’altro canto la restrizione apportata alla libertà di stabilimento appare conforme al principio di proporzionalità, poiché “è evidente che il regime speciale stabilito dal legislatore italiano per le farmacie correrebbe il rischio di venire compromesso, almeno parzialmente, qualora altri tipi di esercizi di vendita al pubblico fossero autorizzati ad offrire prodotti medicinali la cui vendita è attualmente riservata alle farmacie”.

I controlli e gli obblighi ai quali il sistema italiano sottopone alle farmacie – ma non le parafarmacie – implicano costi supplementari per le farmacie, e non è da escludere che una riduzione sostanziale del loro monopolio sulla vendita di determinati medicinali possa esporre alcune farmacie al rischio di perdere la propria redditività, poiché le priverebbe di introiti adeguati.

Ciò significa, in conclusione, che a giudizio dell’Avvocato Generale le limitazioni alla vendita di alcune categorie di medicinali presso le parafarmacie potrebbe pregiudicare il sistema di distribuzione territoriale delle farmacie istituito dalla normativa italiana a tutela della salute pubblica e, di conseguenza costituiscono una deroga ragionevole rispetto al diritto di stabilimento.

È interessante porre tali considerazioni a confronto con quelle recentemente svolte dalla Corte di Cassazione nella sentenza della III^ Sezione n. 3080/13 che, occupandosi della liberalizzazione degli orari per effetto del comma 8 dell’art. 11 della legge 27/2012, ritiene che l’obbiettivo di promuovere la concorrenza giustifichi il rischio della scomparsa degli esercizi minori e quindi di possibili smagliature nella rete capillare delle farmacie, spingendosi a sostenere che “il descritto rischio è conseguenza normale dello sviluppo del mercato e della sua intrinseca finalizzazione al conseguimento di maggiore efficienza di ogni impresa”, e che “la diffusione capillare sul territorio pare ormai un obbiettivo recessivo dinanzi alla sempre più pressante esigenza di minori costi del servizio farmaceutico”.

La Corte di Cassazione prosegue affermando che

“la garanzia del contingentamento territoriale e dei turni, ma intesi come minimi di apertura e non anche di obbligatoria chiusura, sopperisce adeguatamente alle esigenza di una fruibilità diffusa sul territorio del mercato o servizio farmaceutico, oltretutto caratterizzato da una sempre maggiore fungibilità e liberalizzata reperibilità della prestazioni e degli stessi beni offerti”, e si conclude per quanto riguarda questo aspetto con l’affermazione che “il paventato processo di marginalizzazione dei piccoli esercizi, poi, da un lato corrisponde allo sviluppo di un ordinaria dinamica di mercato, attraverso più o meno spontanea riaggregazione e concentrazione in esercizi di grandi dimensioni e a discapito degli esercizi di dimensioni minori”.

Tralasciando il riferimento alla possibilità che gli esercizi minori si possano concentrare riaggregandosi, che non sembra compatibile con la normativa in vigore, è evidente che ci si trova dinanzi a due modi opposti di valutare il peso rispettivo della libertà di iniziativa e concorrenza da una parte, e della garanzia della capillarità del servizio dall’altra.

È curioso che la posizione apparentemente più conservatrice sia stata quella espressa in sede europea mentre quella che sembra più innovatrice provenga da una Corte italiana tradizionalmente orientata in senso opposto; in ogni caso la decisione conclusiva sarà quella della Corte Costituzionale, presso la quale la discussione non è stata ancora fissata, forse proprio in attesa della decisione della Corte di Giustizia europea, il cui contenuto – quale che possa essere – non sarà comunque vincolante in quanto assunto sulla base della normativa europea, ma potrà essere in ogni caso un utile riferimento nel pronunciare l’ultima parola sull’argomento.


Francesco Cavallaro

Nato a Roma nel 1943, ha conseguito la laurea in Giurisprudenza presso l’Università degli Studi “La Sapienza” di Roma nel 1965. È avvocato dal 1969 (albo degli avvocati di Milano) e svolge l’attività professionale occupandosi principalmente degli aspetti giuridici della produzione e della distribuzione dei medicinali. Dal 1970 al 1980 ha curato la redazione di una rivista giuridica specializzata nel settore. Insieme con l’avv. Claudio Duchi ha pubblicato due raccolte di leggi in materia farmaceutica e, sempre con l’avv. Claudio Duchi, il commentario “Il riordino del settore farmaceutico”(Pirola, 1991). Ha partecipato a iniziative di formazione per laureati presso le Università di Milano e di Palermo.
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