La Corte Costituzionale è intervenuta su un tema molto rilevante come quello dell’incompatibilità del socio di società di capitali laddove sussista un “rapporto di lavoro pubblico e privato”. La questione si è posta più volte non solo in termini generali perché dopo le modifiche introdotte della L. n. 124/2017 possono essere soci di farmacia anche soggetti non farmacisti e, dunque, tranne rare eccezioni, necessariamente occupati ma, più ampiamente, con riferimento alle farmacie vinte a concorso per la gestione associata, stante il coinvolgimento di numerosi soggetti legati al mondo del lavoro prevalentemente universitario o sanitario.
Il caso.
La Corte è stata sollecitata dalla controversia sorta fra una SRL e la sua socia titolare di un rapporto di pubblico impiego come docente universitaria: la srl richiedeva alla socia di rimuovere l’incompatibilità o di retrocedere la quota di partecipazione.
L’incostituzionalità
La circostanza ha determinato che si aprisse la questione di legittimità costituzionale dell’art. 8, co. 1, lett. c), della legge 8 novembre 1991, n. 362 nella parte in cui prevede che la partecipazione alle società di capitali, di cui all’art. 7, co. 1, della medesima legge, sia incompatibile con qualsiasi rapporto di lavoro pubblico e privato».
In altre parole l’estendere la causa di incompatibilità (derivante dallo svolgimento di «qualsiasi rapporto di lavoro pubblico o privato») non solo alle persone fisiche e ai soci di società di persone che siano titolari e gestori di farmacie private, ma appunto anche ai soci di società di capitali che acquisiscano tali farmacie senza rivestirne compiti di gestione o di direzione violerebbe numerose norme costituzionali oltre che europee in tema di uguaglianza e alla libertà di impresa.
La decisione
Pianamente la Corte costituzionale è giunta alla conclusione che la causa di incompatibilità di cui trattasi “non è riferibile ai soci, di società di capitali titolari di farmacie, che si limitino ad acquisirne quote senza essere coinvolti nella gestione della farmacia”.
La decisione, certamente condivisibile e che porta chiarezza su un tema nel quale la Adunanza Plenaria del consiglio di Stato del 2017 aveva mantenuto una decisa rigidità, poggia sull’assunto per cui l’incompatibilità si applica appunto soltanto “al soggetto che gestisce la farmacia o, che in sede di assegnazione, ne risulti associato o comunque coinvolto nella gestione”.
I motivi declinati dalla Corte sono numerosi e spaziano:
- da un interpretazione letterale della norma rubricata “gestione societaria: incompatibilità”;
- all’analisi delle sanzioni che per loro natura sono applicabili solo al socio che risulti coinvolto nella gestione (si parla di sospensione del socio dall’albo);
- dal subentro per causa di morte impedito solo a chi svolge attività nel settore della produzione e informazione scientifica del farmaco o esercita la professione medica e non anche a chi abbia un rapporto di lavoro
- alla verifica della “compatibilità” del requisito negativo (rappresentato dall’avere un rapporto di lavoro pubblico o privato) con il ruolo rivestito dal socio nella società stessa
- sino ad un interpretazione sistematica delle norme in questione che ha segnato il passaggio da un modello organizzativo di tipo squisitamente professionale della titolarità e gestione delle farmacie ad una impostazione di natura economico commerciale a seguito del riconoscimento della titolarità anche in capo alle società di capitali.
Dal che la conclusione che se la specifica incompatibilità di cui si discute è legata ad un ruolo gestorio della farmacia, la stessa non è evidentemente riferibile al soggetto che un tale ruolo non riveste nella compagine sociale.
L’opinione.
La Corte ha escluso che detta incompatibilità si applichi al socio non farmacista e anche al socio farmacista che partecipi alla società di capitale senza compiti gestori e, dunque, in via interpretativa, direi che è possibile svolgere ragionamenti analoghi per tutte quelle situazioni in cui è pacifico per previsione di legge o, più nello specifico, per espressa volontà delle parti, estendere il principio costituzionale summenzionato.
Esempio ne sia la recente sentenza del TAR Toscana n. 233/2020 che, con riferimento al socio accomandante, non farmacista iscritto all’albo socio, mero socio di capitale, senza alcun coinvolgimento statutario nella gestione della farmacia, non ne ha considerato l’incompatibilità.
Dunque, a parte i casi abbastanza evidenti, saranno interessanti le successive applicazioni giurisprudenziali dei canoni interpretativi della Corte costituzionale poiché l’incompatibilità in questione sussisterà per il socio, solo se e in quanto, essa risulterà “compatibile” con la funzione svolta nella società stessa.